Zero idrometrico al Trasimeno, quando la pioggia si ferma inizia l’opera dell’uomo
Il raggiungimento (e superamento) della soglia ideale di livello del Trasimeno è un traguardo di cui nessuno può attribuirsi il merito. Chi ha cercato di farlo è stato oggetto di pungenti ironie sui social network. E’ infatti chiaro a tutti che è solamente l’alta piovosità di quest’anno ad aver portato il lago al suo punto ottimale, lo zero idrometrico. Chi conosce il lago sa che la ciclicità delle oscillazioni è una costante della sua storia. Uno stato di natura che l’uomo può però tentare di limitare e mitigare. Un impegno che le amministrazioni rivierasche devono perseguire con determinazione e che non possono solo demandare ad altri.
Buone pratiche per il lago: cose fatte e da fare. Alcune cose sono già state fatte. La messa al bando di coltivazioni idrovore come il mais, di cui era affollato il perimetro lacustre almeno fino a dieci anni fa. L’utilizzo esclusivo di impianti di irrigazione a goccia, con la completa sostituzione delle lance a spruzzo. La fine dei prelievi per fini idropotabili con il collegamento di tutti i comuni alla rete acquedottistica di Perugia. L’investimento massiccio nella depurazione dei reflui dei centri abitati, una misura a cui è attribuibile il riconoscimento delle quattro vele di Legambiente. L’allaccio alla diga di Montedoglio, la conseguente disattivazione delle pompe di sollevamento e la fine dei prelievi agricoli diretti. La messa al bando degli inquinanti motori a due tempi. La realizzazione di alcune vasche artificiali di decantazione delle acque, come quella di oltre 15mila metri quadrati realizzata alla confluenza dei torrenti Tresa, Rio Maggiore, Maranzano e Moiano: una delle opere più incisive per contenere il tendenziale, ma costante, interramento del lago. Il lavoro straordinario del centro ittiogenico della Provincia di Perugia nella riproduzione di avannotti di specie ittiche autoctone.
Alcune cose invece sono rimaste appese al muro. Congelate. Soprattutto negli ultimi cinque anni, anche per una serie di paradossi burocratici come lo scioglimento della Comunità montana e il declino economico/funzionale della Provincia, ente mandato in soffitta a giorni alterni ma che è ancora competente per tante cose inerenti il bacino: le deleghe sul Trasimeno – è bene che i futuri sindaci lo dicano con chiarezza – devono passare alle future unioni dei comuni, come unico organo di raccordo delle amministrazioni locali del lago. Tra le più evidenti mancanze, da correggere velocemente, vanno segnalate: l’interruzione della pratica dei dragaggi del fondale, anche per la classificazione ambientale di rifiuto speciale attribuita al materiale di fondo; la scarsa manutenzione del demanio e delle sponde; il degrado dei pontili, divenuti in alcuni casi pericolosi monconi; l’incostante pulizia dei principali fossi e scoline, sia pubblici che privati; l’irrisolto problema della manutenzione di una pista ciclabile ancora da completare, seppur l’anello risulta già ora interamente finanziato; l’ambigua formula di protezione del canneto, che lo tutela al massimo senza però impedirgli di diventare un tutt’uno con i più comuni rovi che soffocano le stesse piante autoctone che il parco del Trasimeno dovrebbe proteggere; gli scarsi controlli sugli attingimenti idrici dei privati; la mancanza di una progettazione definitiva del collegamento tra il Trasimeno e la diga umbra di Valfabbrica, progetto forse troppo futuribile ma estremamente utile per una gestione meno approssimativa dei livelli delle acque.
Molto da migliorare e realizzare quindi, ma non senza una base di azioni utili già messe in campo. Una serie di sfide che, nel mezzo delle riforme che attraversano gli enti locali, dovranno essere portate avanti con un protagonismo assoluto dei sindaci dei comuni del Trasimeno. Magione, ovviamente, dovrà fare la sua parte.